A.C. 3491-A
Grazie, Presidente. Avendo la relatrice e per il mio gruppo il collega Lo Sacco già parlato diffusamente del provvedimento, io mi limito a tre riflessioni di carattere politico e strategico e cerco di farlo interloquendo e dialogando con i colleghi che mi hanno preceduto, perché credo che in discussione generale sia utile ascoltarsi e tentare di avvicinare le posizioni, partendo ciascuno delle proprie idee, piuttosto che proporre monologhi scritti a casa con un po' di retorica.
Nella discussione che ho ascoltato, con molta attenzione, sembra quasi che si tratti di una guerra cominciata 19 giorni fa. È un errore di analisi abbastanza grave, perché la guerra in Ucraina è cominciata 8 anni fa e non 19 giorni fa. È cominciata con l'annessione, senza sparare un colpo, della Crimea alla Russia e poi la guerra nel Donbass, che è guerra, guerra asimmetrica, ma è guerra, nel 2014. Accanto a questo - e noi europei forse non ce ne siamo resi conto fino in fondo - c'è stata una serie di iniziative di guerra asimmetrica portate avanti dalla Russia. Quella che viene propriamente o impropriamente definita “dottrina Gerasimov”, che non è guerra ibrida ma è guerra nelle zone grigie, affianca l'attività degli hacker che colpiscono attraverso la rete Internet e con attacchi cyber infrastrutture critiche di diversi Paesi - nel 2014 si è realizzato il più grande attacco hacker alle infrastrutture critiche della storia proprio in Ucraina - all'attività dei troll, cioè quegli operatori che attraverso i social network manipolano e condizionano l'opinione pubblica degli altri Paesi con notizie false e con modalità di comunicazione che servono a produrre convincimenti basati su bugie sostanzialmente. Questa attività non è estranea alla guerra; è parte della guerra. Guerra ibrida per questo, perché si compone di diverse azioni: alcune sono azioni militari in senso stretto e altre sono azioni che sono parificate o parificabili alle azioni militari.
Dal 2014 ad oggi si combatte questa guerra, che 19 giorni fa ha avuto, invece, un'accelerazione sul piano della cosiddetta guerra cinetica, cioè delle attività militari combattute sul campo. Fino a 19 giorni fa, l'opinione pubblica dei Paesi europei e alcune importanti forze politiche un po' in tutti i Paesi europei non hanno colto la postura aggressiva della Russia, anzi hanno in parte anche ammirato o strizzato l'occhio o avuto simpatie per la politica di Putin. Il fatto che oggi la guerra cinetica, i profughi, le immagini che vediamo, i morti, i bambini che scappano abbiano portato tutti a prendere parte e ad avere consapevolezza del fatto che c'è un Paese aggredito e c'è un Paese aggressore è sicuramente una maturazione di consapevolezza utile. Ma quello che dobbiamo avere chiaro è che noi il lusso di strizzare l'occhio a Putin o di battergli la mano sulla spalla e di considerarlo uno statista non ce lo possiamo più permettere in Europa, perché l'oggetto di questa guerra non è l'Ucraina: sono i rapporti di forza fra l'Oriente e l'Occidente sul territorio europeo. Quindi, interessa anche noi e dobbiamo avere chiaro da che parte si sta (tutti dobbiamo averlo chiaro).
La seconda riflessione riguarda il che fare adesso. Ora ci sono, in teoria, tre linee di condotta alternative praticabili. Ad un'aggressione di questo tipo, la prima linea di condotta noi l'abbiamo giustamente scartata - per “noi” intendo dire l'Unione europea e l'Alleanza atlantica - a priori, cioè un intervento militare diretto che porterebbe dritti verso la Terza guerra mondiale e all'uso delle armi atomiche. Non perdo tempo a parlarne; non c'è bisogno di spiegare perché l'abbiamo scartata. Poi c'è una seconda opzione, che per fortuna tutti i Paesi europei - persino la neutrale Svizzera - hanno scartato e gli Stati Uniti e gli altri alleati del Patto Atlantico pure, che è l'idea di lasciare che la prepotenza del più forte prevalga, senza agire in nessun modo. Cioè, prendere atto della realtà che c'è una parte forte e una debole e quella forte impone le sue ragioni con la forza delle armi. L'ordine mondiale, che si basa sulla sovranità degli Stati-nazione dalla pace di Vestfalia ad oggi, rifiuta questo approccio. Esiste un diritto internazionale ed esiste una necessità di prendere parte - come noi abbiamo fatto in questo caso per la parte più debole, che è l'Ucraina -, sostenendo le ragioni, il diritto e la libertà del popolo ucraino di determinare autonomamente qual è il proprio destino e il proprio futuro. Lo abbiamo fatto non solamente con il sostegno morale, che pure vale qualcosa ma non è sufficiente, ma anche con gli impegni concreti che sono contenuti nel provvedimento che dovremo votare nei prossimi giorni e che stiamo discutendo oggi, sia sul piano dell'aiuto per i profughi e i rifugiati sia sul piano dell'aiuto per l'attività militare di resistenza che il popolo ucraino sta ponendo in essere. Quindi, anche la cessione di sistemi d'arma che possono permettere a queste resistenze di avere maggiore efficacia.
Naturalmente, ho ascoltato nel dibattito tra i colleghi che mi hanno preceduto anche osservazioni, che condivido, sulla necessità dell'Unione europea di avere una maggiore capacità militare affiancata a quella della NATO per proteggere i confini dell'Unione europea stessa. Io sono naturalmente d'accordo con questa opinione. Però, sottolineo un aspetto, che di nuovo è un errore analitico non considerare. A poco serve mettere insieme le forze in una organizzazione joint (come si dice sul piano militare), cioè Forze armate di singoli Paesi che si addestrano assieme, se non c'è una politica estera e di difesa che decide come questa forza la si impiega, quando la si impiega, dove la si impiega e con quali regole d'ingaggio. Il problema non è mettere insieme le forze per avere Forze armate europee; i militari ci mettono sei mesi a realizzare un progetto di questo tipo.
Il problema è politico, cioè sta nella volontà dei Paesi europei di rinunciare a un po' della propria sovranità nazionale per prendere decisioni di politica estera insieme e utilizzare la forza, insieme, della politica di difesa. Ora, l'ostacolo principale alla realizzazione di un'autonomia strategica europea non sta negli aspetti di carattere militare, sono tutti facilmente risolvibili, sta negli aspetti di carattere politico, e si chiama sovranismo, cioè quella visione nazionalista che prevede che ci sia una sovranità totale dello Stato nazionale sulle proprie Forze armate e sulla propria politica estera, e non la necessità di condividere con gli altri alleati dell'Unione europea una politica estera comune e, quindi, una politica di difesa comune. Per potere avere un maggiore peso e una maggiore capacità strategica, l'Unione europea deve fare questo passo e abbandonare il sovranismo.
Terza riflessione, che riguarda invece il futuro: come si esce da questo conflitto? Mentre l'invenzione della guerra è antica quanto l'umanità, l'invenzione della pace è molto più recente. La pace si produce con la negoziazione, cioè con un accordo diplomatico, che, per sua definizione, non è la vittoria totale di uno o la sconfitta totale dell'altro, ma è l'incontro di posizioni diverse che si devono comporre, ascoltandosi a vicenda. Qualcuno dice che l'Occidente, l'Europa e la NATO abbiano commesso degli errori, in passato, che hanno favorito il degenerare della situazione e che ci hanno portato qui. Io non so se sia così o meno, in ogni caso non è questo il momento per fare l'analisi degli errori, è il momento per trovare le soluzioni. Quel che è certo è che la soluzione si trova se si va incontro sia alle esigenze di Kiev, che alle esigenze di Mosca, che pone un problema di sicurezza e un problema di garanzie sui propri confini.
Riprendo in questi termini una proposta, una riflessione, che ho ascoltato più volte in queste Aule, fatta più volte in questi giorni, relativa al ragionamento complessivo del sistema di sicurezza europea e degli equilibri europei di sicurezza. La soluzione del problema non può essere affidata alla trattativa tra Russia e Ucraina, ma solamente a una trattativa multilaterale, che parta naturalmente dalla negoziazione tra la Russia e l'Ucraina, ma che tenga conto anche delle altre forze europee, dell'Occidente e della NATO, nella quale ciascuno si impegna a fare una propria parte per costruire un nuovo equilibrio che non sia semplicemente una fotografia dei rapporti di forza che vengono fuori dalla guerra nel momento in cui questa si interrompe, ma che sia un equilibrio che possa garantire la stabilità e la pace nei prossimi decenni, perché se le ragioni che hanno portato a questo conflitto non sono affrontate e non sono risolte, la soluzione di pace è precaria per definizione. In questo io credo che il nostro Paese - del quale ho apprezzato molto la postura in queste due settimane - possa dare un contributo utile, sia alla riflessione interna all'Alleanza atlantica, sia alla riflessione interna all'Unione europea.
Il provvedimento che oggi approviamo è un provvedimento che risolve una parte dei problemi emergenti nella situazione consistente. Non è sufficiente, naturalmente, per poter costruire le condizioni della pace e della stabilità. Credo che il nostro Governo - e ritengo che il Parlamento debba sostenerlo in questa azione - possa avere una funzione propositiva nei confronti dell'Unione europea e degli Stati Uniti in primo luogo, che sono i nostri alleati, per definire una piattaforma di negoziazione multilaterale che non abbandoni i due contendenti in una discussione sui confini interni all'Ucraina e sul rapporto tra di loro, ma che preveda come l'equilibrio europeo, e tra Oriente e Occidente, si ridefinisca per produrre una pace che possa dare garanzie di sicurezza e di stabilità per i prossimi decenni.